Gli stili alimentari nei Pesci
Testo di M. Letizia Tani e Maurizio Lodola

Generalmente, quando si pensa ad un pesce, si fa riferimento ad uno stereotipo modello animale provvisto di pinne che nuota nel suo ambiente acquatico, mentre pensare ad un mammifero è ben più complicato, perché un gatto, una mucca, un delfino o uno scimpanzé sono talmente diversi da non consentire un’immagine univoca che rappresenti la loro classe sistematica. Eppure i Pesci annoverano più di 20.000 specie, contro le circa 4.000 dei Mammiferi, segno di un’elevata variabilità e specializzazione, e tuttavia si tende sempre ad uniformarli, anche in tema di alimentazione. Nessuno infatti si sognerebbe mai di nutrire allo stesso modo un gatto, una mucca, un delfino o uno scimpanzé, mentre si pensa erroneamente che i pesci abbiano all’incirca le stesse esigenze alimentari. Al contrario, il regime alimentare dei pesci è estremamente vario, come dimostra l’ampia gamma di adattamenti anatomici che si riscontrano a livello dell’apparato digerente.

A iniziare dalle labbra, per esempio, particolarmente sviluppate nelle specie bentoniche, che assumono il cibo sul fondo, dotate spesso di papille o barbigli ricchi di terminazioni sensoriali, come nei Botia o nei Corydoras, che se ne servono per sondare la melma in cerca di piccoli invertebrati; addirittura possono essere modificate in un’appendice a guisa di proboscide, come in Gnathonemus, o in una sorta di ventosa, come quella con la quale i Gyrinocheilus aderiscono ai substrati che ripuliscono dalle alghe, oppure possono mancare del tutto.

La cavità orale, in particolar modo, si è estremamente diversificata nelle varie specie a seconda della dieta adottata, soprattutto in relazione alla presenza o all’assenza di denti, nonché al loro numero, forma e distribuzione. Ogni tipologia alimentare ha evoluto una bocca adeguata: i pesci predatori presentano numerosi denti acuminati, talvolta disposti in più file e distribuiti in certi casi anche sul palato e sulla lingua; i planctofagi hanno ampie ma innocue bocche con cui filtrano l’acqua; i detritivori una dentatura scarsa o assente e gli onnivori delle placche masticatorie tuttofare che si spingono fino alla faringe. Al contrario della maggioranza dei pesci che sono omeodonti, a denti uguali, nei detritivori è presente spesso una certa eterodonzia, cioè i denti sono di forma diversa, probabilmente in relazione alle loro variate abitudini alimentari che li portano a cacciare prede, come pure a cibarsi anche di invertebrati coriacei. I pesci tuttavia ingoiano il cibo senza masticarlo - aiutati nella deglutizione dal mezzo liquido in cui sono immersi, tant’è che non hanno ghiandole salivari – e quindi i denti servono loro solo per afferrare le prede e staccarne dei pezzi.

La conformazione e la posizione della cavità buccale hanno altresì una grande importanza nell’assunzione del cibo: nelle specie bentoniche, quali Ancistrus e Hypostomus, l’ampia bocca circolare è situata in posizione ventrale, rivolta verso il fondo, per poter aspirare meglio il materiale commestibile (piccoli invertebrati, alghe, detrito organico); invece, i pesci Emiranfidi del genere Dermogenes hanno una singolare bocca a rostro, la cui apertura è rivolta verso l’alto, con una lunga mandibola grazie alla quale setacciano la superficie dell’acqua a caccia di larve di insetti. Nei pesci che cacciano all’agguato, come gli Scorpenidi, la bocca si fa grande e telescopica per protendersi a scatto e risucchiare la preda; al contrario, specie timide e mimetiche, come i Singnatoidei (pesce ago, pesce trombetta, cavalluccio marino), hanno una minuscola apertura buccale all’estremità del muso allungato.

La cavità buccale sbocca nella faringe che prosegue con un esofago molto elastico, contenente cellule secernenti una sostanza mucillaginosa che favorisce l’avanzamento del bolo verso lo stomaco. Esso può assumere forme diverse (a sifone, fusiforme, a sacco, ripiegato ad U, ecc.) ed essere talvolta dotato di una sviluppata muscolatura - simile al ventriglio degli uccelli – oppure di una sorta di “cieco” che funge da deposito per il cibo; in alcune famiglie (i Ciprinidi, per esempio) lo stomaco è completamente assente, così che l’esofago sbocca direttamente nell’intestino dove si svolge tutta la digestione.

I processi digestivi iniziati nello stomaco proseguono quindi nell’intestino medio, dove avviene il riassorbimento dei prodotti ultimi della digestione. E’ interessante notare come anche il tubo digerente risenta del tipo di dieta adottata: generalmente è di dimensioni maggiori e più circonvoluto nelle specie erbivore rispetto a quelle carnivore (anche 10 volte più lungo), poiché la digestione del materiale fibroso è più difficoltosa rispetto a quello proteico; i pesci predatori hanno invece un tubo digerente piuttosto corto e diritto, lungo quanto il pesce stesso. Questa disposizione è tipica dei Pesci Cartilaginei, come gli squali, in cui si osserva inoltre la così detta “valvola spirale”, ossia la mucosa intestinale che si avvolge in numerose spire per aumentare la superficie assorbente. Soluzione del resto generalizzata nelle forme ancestrali e che si ritrova ancor oggi nei Pesci Osteitti più primitivi, quali i Dipnoi e gli Acipenseridi, mentre è scomparsa nei Teleostei, nei quali, invece, sono frequenti in numero variabile a seconda delle specie, le appendici piloriche, cioè dei diverticoli della parete intestinale che, aumentando la capacità assorbente dell’intestino, contribuiscono anche a tamponare la reazione acida del bolo alimentare in uscita dallo stomaco. Infine, nell’intestino terminale i residui non assorbiti vengono avviati verso l’apertura anale, che in tutti i Pesci Osteiti sbocca separata dalle vie urogenitali, a differenza dei Pesci Cartilaginei che hanno una cloaca.

La scelta del regime alimentare è indubbiamente condizionata dalla disponibilità di cibo, perciò le nicchie ecologiche occupate dai vari tipi di pesci sono strettamente correlate all’ambiente in cui vivono. Molti pesci dulcacquicoli dei climi tropicali si nutrono del materiale vegetale che, a quelle latitudini, è sempre abbondante e non rappresenta quindi un fattore limitante per la crescita; inoltre, le frequenti inondazioni che investono le regioni tropicali contribuiscono ad aumentare le aree trofiche dei pesci erbivori che, spostandosi nelle zone allagate, trovano ulteriori fonti di cibo. In mare e nelle acque dolci dei climi temperati, invece, i pesci vegetariani sono in minoranza rispetto alle specie a dieta carnivora; i planctofagi sono più frequenti negli oceani che nei fiumi e nei laghi.

La differenziazione alimentare e la relativa specializzazione anatomica sono state quindi alla base del successo evolutivo dei Pesci, permettendo così la coabitazione di specie diverse nello stesso ambiente acquatico. Ciascuna di esse, infatti, sfrutta una diversa fonte di cibo, riducendo al minimo i fenomeni di competizione per la nicchia trofica. Paradigmatica, a questo proposito, è la coesistenza delle numerosissime specie di Ciclidi che vivono nei grandi laghi africani. La speciazione espressa da questa vastissima famiglia è stata resa possibile dall’ottimale utilizzazione di tutti i possibili cibi a disposizione, anche i più inconsueti, da parte dei vari livelli dei consumatori da essi rappresentati nella catena alimentare lacustre. A cominciare quindi dai Ciclidi fitoplanctonici, tutti appartenenti al genere Tilapia, come T. esculenta, che hanno evoluto particolari filamenti a livello degli archi branchiali (branchiospine) a formare un efficace filtro in grado di trattenere le microscopiche alghe unicellulari sospese nell’acqua; inoltre, la corrente inalatoria spinge il fitoplancton verso un velo di muco secreto dal cavo orale, in modo da produrre un bolo viscoso che può essere più facilmente trattenuto dalle branchiospine e poi indirizzato verso l’esofago.

Altri raccolgono invece il fitoplancton sedimentato sul fondo e mescolato a detrito organico: nel Lago Giorgio T. nilotica e T. leucosticta  si alimentano del plancton vegetale presente sul fondo melmoso insieme a grandi quantità di residui fecali di ippopotamo, ricchi di protozoi e batteri. Anche lo zooplancton alimenta numerose specie, come quelle del genere Haplochromis presenti nei laghi Vittoria, Nyassa e Malawi, che si nutrono in gran parte di piccoli Crostacei Copepodi. I pesci di questo genere presentano una bocca protrattile che – pur con delle significative differenze specifiche – funziona in tutti allo stesso modo: all’abbassarsi della mascella inferiore, si protende a formare un’apertura tubolare che – grazie al rapido flusso d’acqua richiamato dall’aumento del cavo orale – risucchia i minuscoli animali planctonici; la fitta rete delle branchiospine aumenta ulteriormente la loro capacità filtrante.

I Ciclidi del genere Lethrinops, endemici del Lago Malawi, filtrano invece il fondale sabbioso in cerca di larve di Ditteri Chironomidi, affondando il muso appuntito nella sabbia e riempiendosene la bocca, dopo di che riemergono espellendo i granuli sabbiosi attraverso le aperture respiratorie. In tal modo, il materiale minerale fuoriesce dalle branchiospine, ma non le larve di chironomidi, che vengono trattenute ed ingoiate. Una conferma del livello di specializzazione raggiunto da questi pesci è data dal fatto che le diverse specie di Lethrinops possiedono un numero variabile di branchiospine, disponendo quindi di un filtro più o meno fitto, in grado di trattenere particelle alimentari di dimensioni diverse, evitando così la competizione interspecifica per lo stesso tipo di cibo.

Tutt’altre forme anatomiche hanno invece perfezionato quelle specie che si nutrono delle alghe epilitiche, tappezzanti le rocce e la vegetazione sommerse, come Pseudotropheus tropheops e Tilapia mossambica, che raschiano le alghe incrostanti con le mascelle munite di sottili denti conici disposti in otto file, di cui quelli più esterni sono brevi e a due punte, gli altri a tre punte. I numerosi Ciclidi che hanno adottato questo regime alimentare sono giustificati dall’abbondanza e dalla facile reperibilità della patina algale, la quale garantisce ampia possibilità di crescita anche a popolose comunità di specie diverse.

I pesci erbivori, quali Tilapia rendalli, T. zillii e Hoplochromis similis, si nutrono dei germogli e delle piante dalle foglie tenere, “brucando” la vegetazione litorale come le pecore al pascolo. La loro dentatura è costituita allo scopo da tre-quattro serie di denti a tre punte, con cui afferrano saldamente i vegetali fluttuanti, recidendoli poi con un’altra serie di grandi denti posti all’esterno a forma di lama. Sembra che i resti della digestione di questi Ciclidi costituiscano una fonte alimentare per i pesci detritivori, rivestendo una notevole importanza nella produttività dei laghi a scarso contenuto di plancton.

Fra le specie carnivore, quelle che si nutrono di molluschi gasteropodi e bivalvi – Haplochromis placodon e Lamprologus tretocephalus, per esempio – sono provviste di robuste ossa faringeee fuse in un’unica piastra, munite di pochi denti piatti di notevoli dimensioni che questi pesci usano a mo’ di schiaccianoci. Un’ulteriore specializzazione a questa particolare forma di alimentazione è data dalla presenza di potenti muscoli mandibolari e ed un cranio raccorciato e robusto.

I Ciclidi ittiofagi, come del resto tutti i predatori, hanno una sagoma idrodinamica, occhi grandi atti alla ricerca delle prede ed un’ampia bocca dai denti acuminati, inclinati all’indietro, presenti spesso anche sulle ossa faringee. Fra le numerose forme di ittiofagia, merita ricordare quella praticata da Haplochromis compressiceps del Lago Malawi - senza dubbio una delle più inconsuete - che si nutre strappando i bulbi oculari degli altri sfortunati pesci che gli capitano a tiro, estraendoli dall’orbita con rapidi movimenti della mandibola protratta in fuori e munita di denti aguzzi. Altre specie di Haplochromis (per esempio, H. obesus, H. barbarae ed H. cronus) e del genere Cyrtocara sono pedofagi, cioè si nutrono quasi esclusivamente di uova e di avannotti di altri Ciclidi, strappandoli con strategie differenti dalla bocca delle femmine o rubandole prontamente durante la deposizione; probabilmente questo tipo di alimentazione si è evoluto parallelamente alla modalità di incubazione orale praticata dalla stragrande maggioranza dei Ciclidi, assicurando ai pesci pedofagi facile reperibilità di cibo. Haplochromis welcommei (ma anche Corematodus e Genyochromis mento) si ciba invece delle scaglie cutanee e lembi di pinne di altri pesci, abilmente asportate dai suoi denti taglienti, con le quali questo pesce si assicura una fonte di cibo altamente proteica. Altrettanto curiosa è la tecnica di predazione di Haplochromis livingstonii del Lago Malawi: questo pesce finge infatti di essere morto, galleggiando e mutando la normale livrea in un’altra dal colore più grigiastro ed a chiazze, come se fosse in decomposizione; molti pesci, abituati a nutrirsi di carogne, vengono attirati dal finto cadavere che, al momento giusto, sferra il suo attacco ribaltando completamente la situazione. Non mancano, infine, le forme pulitrici, che si cibano dei parassiti cutanei attaccati agli altri pesci, analoghe quindi a quelle specie che operano lo stesso servizio nelle barriere coralline.

I mangimi commerciali

Le preferenze alimentari appena viste in dettaglio per i Ciclidi, possono essere estese a tutte le specie che alleviamo in acquario, da qui la necessità di fornire loro un mangime espressamente studiato per quella determinata famiglia o specie. I pesci carnivori abbisognano infatti di mangimi ad alto contenuto proteico, mentre quelli per i pesci fitofagi devono essere ricchi in fibre. Forma e dimensioni del cibo sono altrettanto importanti: pesci predisposti alla ricerca e cattura del cibo sulla superficie dell’acqua preferiranno mangimi galleggianti, in scaglie, in granuli o liofilizzati; quelli che raspano il cibo – soprattutto vegetale, ma anche costituito da colonie di briozoi – dovranno essere nutriti con un alimento in pasticche, possibilmente aderenti ad un substrato (vetro o roccia), in modo che possano mantenere efficiente il loro apparato buccale. La dieta dei pesci pulitori e detritivori non si dovrà limitare ai residui alimentari degli altri ospiti dell’acquario - spesso scarsi e non adeguati alle loro esigenze - ma comprenderà alimenti specifici, sia nel formato che nella sostanza: un Botia o un Corydoras, specie entrambe carnivore, necessitano di un cibo ben diverso da quello richiesto da altri pesci pulitori, come Gyrinocheilus e Ancistrus, decisamente vegetariani.

Il mercato attualmente presenta un vasto assortimento di alimenti industriali per pesci, ad altissimo livello per quanto concerne la loro formulazione - grazie soprattutto ai laboratori di ricerca di cui sono dotate le maggiori aziende produttrici - ed un buon cibo commerciale è quindi in grado di dare la possibilità all’acquariofilo di verificarne il contenuto in proteine, grassi e fibre tramite le tabelle qualitative e quantitative stampate sulle confezioni.

Bibliografia:

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Goldschmidt T., “Lo strano caso del Lago Vittoria”, Einaudi Editore, Torino (1999).

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Padoa E., “Manuale di anatomia comparata dei Vertebrati”, Feltrinelli Editore, Milano (1978).

Wilson E. O., “La diversità della vita”, Rizzoli Editore, Milano (1993)