Le simbiosi (parte prima)
a cura di Maurizio Lodola
e M. Letizia Tani
 

La selezione naturale ha prodotto un’infinita varietà di organismi viventi, ciascuno dotato di peculiari adattamenti, per consentire ad ogni specie di utilizzare al meglio la nicchia ecologica assegnatale. I complessi sistemi relazionali che si instaurano fra i membri delle comunità naturali, fatti di rapporti di competizione e di cooperazione, contribuiscono ad assicurare l’evoluzione delle specie nell’efficace opera di sfruttamento dell’ambiente. Nell’ambito delle relazioni interspecifiche esistono alcune singolari associazioni di specie che si evolvono insieme, stabilendo un legame intimo e duraturo che comporta un elevato grado di specializzazione da parte dei contraenti. Queste particolari relazioni ecologiche, nelle quali partners diversi concorrono a formare un’unità funzionale di natura permanente o comunque prolungata nel tempo, si dicono simbiosi ( dal greco symbiòsis, composto da syn = con, e biòo = vivere): si ritrovano sia all’interno di comunità vegetali che animali ed anche fra organismi vegetali e animali. Il termine è entrato a far parte del linguaggio etologico a partire dal 1879, quando fu espresso per la prima volta dal botanico H. A. De Bary per descrivere la relazione esistente fra alcuni tipi di alghe e funghi che vivono insieme a formare i licheni. Da allora la parola simbiosi è stata usata in accezioni diverse da quella originaria di "vita in comune"; la vasta produzione bibliografica esistente su questo argomento dimostra quanto tale fenomeno sia interessante per gli etologi, riportando diversi tipi di definizioni a seconda delle scuole di appartenenza. Intendendo comunque con simbiosi la condizione di prolungata e stretta associazione tra individui appartenenti a specie diverse, il termine verrà qui usato come concetto comune per descrivere i tre distinti fenomeni del mutualismo, del commensalismo e del parassitismo.

Si parla di simbiosi mutualistica quando due specie animali instaurano un rapporto di mutua dipendenza, collaborando per il reciproco vantaggio, mentre quando è una sola specie a trarne beneficio, senza però che l’altra ne soffra, si ha il commensalismo; per parassitismo si intende invece una forma di associazione dalla quale solo uno degli organismi trae vantaggio, talvolta arrecando danno all’altro. Questi fenomeni sono particolarmente diffusi nell’ambiente marino in diverse specie di Pesci ed Invertebrati, molto più rari invece fra gli animali terrestri (ad eccezione del parassitismo).

Spesso il punto di partenza delle relazioni simbiotiche fra animali è un’interazione di tipo positivo, nella quale gli organismi di entrambe le specie interessate si avvantaggiano della stretta associazione, raggiungendo un equilibrio che consente la sopravvivenza e l’accrescimento di ambedue le parti. Progressivamente si differenziano poi i diversi tipi di interazioni positive, quali il commensalismo, la protocooperazione e il mutualismo.

Seguendo una successione evolutiva, il primo stadio delle relazioni simbiotiche positive è rappresentato dal commensalismo, nel quale una sola specie trae benefici dall’associazione, mentre l’altra non ne è influenzata. In mare è possibile assistere a numerosi esempi di questo tipo di simbiosi che coinvolgono varie specie di Invertebrati. Fra questi i minuscoli granchi pisello, Crostacei del genere Pinnotheres dal carapace molle e fragile, vivono commensali all’interno della conchiglia di Pinna nobilis, il più grosso Mollusco Bivalve del Mediterraneo, che fornisce loro rifugio ed anche cibo sotto forma di avanzi. Anche l’habitat del gambero guardiano (Pontonia custos) è costituito quasi esclusivamente dall’interno rassicurante di Pinna nobilis ed eccezionalmente da qualche grossa spugna, dove maschio e femmina vivono in coppia sempre nello stesso ospite. La struttura porosa delle spugne ben si presta ad accogliere minuscoli animali, tanto che in un esemplare di Speciospongia, una spugna gigante, sono stati trovati oltre 13.000 "inquilini". Uno dei più comuni, il gamberetto Spongicola, vi entra quando è piccolo, rimanendovi chiuso dentro una volta cresciuto: è difficile in questo caso capire quale sia il vantaggio dell’ospite da tale forma di associazione, se non gli escrementi del crostaceo e, quando esso muore, il materiale organico. Anche la conchiglia dell’orecchia di mare (Haliotis lamellosa) offre protezione ai piccoli gamberetti neri del genere Bataeus e numerosi altri piccoli organismi sono soliti rifugiarsi nelle conchiglie di Gasteropodi e Bivalvi, alla base degli aculei acuminati dei ricci di mare o all’interno dei tubi bentonici costruiti dai vermi Policheti marini. Generalmente questi animali mostrano un’elevata fedeltà e specificità nei confronti dell’ospite, che non hanno difficoltà a ritrovare dopo esserne stati allontanati; perlomeno apparentemente, non sembra che l’organismo ospite sopporti alcun costo da tale relazione, come d’altra parte si ignora se ne tragga qualche vantaggio.

Il passo successivo nell’evoluzione delle simbiosi di tipo positivo è costituito dalla protocooperazione, condizione vantaggiosa per entrambe le specie, senza essere però obbligatoria per le due parti, che rimangono potenzialmente indipendenti l’una dall’altra. L’esempio più tipico è l’associazione di Celenterati con Crostacei, cioè il ben conosciuto paguro che porta a spasso l’attinia sulla sua conchiglia, con specie diffuse sia nelle acque calde e poco profonde dei mari tropicali che nelle più fredde acque atlantiche e nel Mediterraneo. I paguri sono Crostacei Decapodi che hanno la caratteristica abitudine di proteggere il loro tenero addome in gusci vuoti di Gasteropodi ed altri Molluschi, all’interno dei quali si rifugiano uscendone solo in occasione della muta per trovare un nuovo abitacolo più grande. Inoltre, alcuni di essi, in particolar modo quelli appartenenti alla famiglia dei Diogenidi, praticano l’ancor più singolare rituale di rimuovere le attinie dal loro substrato sessile, scalzandole e trasferendole sulla loro conchiglia. La loro specializzazione in questo tipo di relazione è diventata così vincolante che certe specie di paguri ed attinie non sono mai stati osservati singolarmente ma sempre in coppia, come avviene per i generi di attinie Calliactis, Paracalliactis e Adamsia, le quali si trovano esclusivamente sulle conchiglie di paguri e sono quindi da considerarsi simbionti obbligati. Generalmente i paguri senza "passeggero" cercano attivamente un’attinia da apporre sulla propria conchiglia e spesso l’associazione fra i due non si interrompe neanche nel corso dell’accrescimento del crostaceo, quando esso cambia dimora, poiché il paguro provvede a trasferire l’attinia sulla nuova conchiglia (vedi box).

Questa associazione comporta benefici per entrambi gli organismi: la corona di tentacoli urticanti del celenterato offre al crostaceo una relativa protezione dai nemici, ottenendone in cambio i resti del cibo che si disperdono nell’acqua e, grazie agli spostamenti del paguro sul fondale, anche una maggiore possibilità di movimento e di fonti trofiche. E’ probabile che la simbiosi attinia-paguro sia iniziata accidentalmente - forse con un paguro che si sia infilato in una conchiglia già ricoperta da un’attinia - la cui protezione non richiesta si sia col tempo rivelata gradita al crostaceo trasportatore, diventando contemporaneamente fruttuosa anche per l’anemone. Il graduale sviluppo di questa forma di cooperazione si riflette anche nel diverso tipo di interesse mostrato dai due partners l’uno verso l’altro: nelle acque atlantiche l’attinia Calliactis parasitica si arrampica sul guscio di Eupagurus bernhardus senza alcun aiuto da parte di esso, mentre nel Mediterraneo Pagurus arrosor aiuta il suo anemone a salire sul guscio.

Tale efficace relazione raggiunge talvolta livelli di concertata perfezione, come nel caso dell’associazione tra Eupagurus prideauxi con Adamsia palliata, dove si assiste ad un accrescimento parallelo di entrambi gli organismi, con il disco basale dell’attinia che cresce intorno all’intera conchiglia abitata dal paguro, creando in tal modo un mantello protettivo che circonda le parti esposte del crostaceo, il quale, crescendo, può anche fare a meno di cambiare conchiglia. Addirittura, la presenza dei tentacoli urticanti arriva a conferire una tale protezione al paguro sottostante da rendere superflua la ricerca di una conchiglia, così che l’attinia aderisce direttamente al dorso del paguro. Nel caso che esso interrompesse volontariamente l’associazione con l’anemone, quest’ultima sarebbe incapace di sopravvivere e morirebbe in breve tempo.

Da una simile condizione di protocooperazione si passa quindi inevitabilmente alla simbiosi obbligata o mutualismo, che costituisce il tipo più evoluto delle relazioni positive interspecifiche, in cui entrambi i partners traggono vantaggio dalla loro associazione, talmente necessaria per la loro sopravvivenza da dipendere completamente l'uno dall'altro. Uno dei casi più conosciuti di comportamento simbiotico è rappresentato dallo stretto rapporto fra i pesci pagliaccio e varie specie di anemoni, visibile a chiunque si immerga nelle acque calde dei mari tropicali dove vivono anemoni di notevoli proporzioni (generi Stoichactis, Radianthus, Discosoma), fra i cui tentacoli urticanti si intrattengono indisturbati i Pesci Perciformi Pomacentridi del genere Amphiprion e Premnas, detti pesci pagliaccio per la vistosa livrea a bande bianco-arancio. I vantaggi risultanti da tale associazione sono facilmente comprensibili: l'anemone si ciba delle particelle residue del pasto dei pesci, in cambio proteggendoli dai nemici all’interno della sua fitta corona velenosa. La conferma della stretta interdipendenza fra le due specie viene dall’osservazione in natura, dove gli Anfiprionidi sono raramente rintracciabili lontani dal loro ospite, facendo registrare un significativo aumento del loro tasso di mortalità se privati del proprio anemone, poiché si espongono ad un maggior numero di attacchi da parte dei predatori, ma si nota anche una più rapida mortalità degli stessi anemoni.

Entrambi i partners si adoprano attivamente alla reciproca salvaguardia: i pesci pagliaccio, in coppia ma anche in piccoli banchi, delimitano il territorio intorno all’attinia, concentrandovi le loro attività ed esibendo uno spiccato comportamento territoriale a stretto ridosso dei tentacoli del celenterato, difendendolo anche dalle incursioni dei pesci che si cibano di esso; talvolta i pesci pagliaccio sono stati visti anche ripulire il loro ospite da sabbia e residui. D’altra parte, la barriera urticante offerta dall’anemone ripara efficacemente i pesci pagliaccio dai predatori che, pena dolorose bruciature se non addirittura il rischio di essere invischiati nei tentacoli, devono desistere dal catturarli in prossimità del loro ospite. E’ evidente che la simbiosi fra queste specie di pesci e celenterati è estremamente specifica e si è sviluppata in seguito a complesse modalità di acclimatazione da parte degli Anfiprionidi, culminanti nella loro completa immunità nei confronti delle pericolose sostanze secrete dalle cellule degli anemoni.

A questo proposito esistono numerose osservazioni su varie specie, dal comportamento differente, che hanno portato ad opinioni contrastanti. Nei primi anni ’60 le ricerche condotte dall’etologo I. Eibl-Eibesfeldt su Amphiprion akallopisus, A. xanthurus e A. percula provarono che questi pesci hanno la pelle ricoperta di una particolare sostanza che li protegge: se, infatti, si asporta questo muco protettivo dall’epidermide, i tentacoli dell’anemone non riconoscono i pesci, uccidendoli; un pesce "immunizzato", invece, può essere lanciato contro i tentacoli dell’anemone senza esserne in alcun modo danneggiato e ciò anche se l’animale si muove in maniera atipica all’interno della corona tentacolare, invalidando l’ipotesi secondo cui l’anemone riconoscerebbe il pesce dai particolari movimenti che esegue. Da queste ed altre ricerche è emerso come dato conclusivo che l’immunizzazione protettiva acquisita dai pesci pagliaccio avviene attraverso una graduale esposizione per contatto, con il trasferimento del muco velenoso secreto dagli anemoni sulla propria epidermide, fino a che i pesci ne sono completamente rivestiti e quindi protetti. Allora possono avventurarsi impunemente fra i tentacoli dell’anemone, sfidandone la ricognizione chemio-tattile, che non li riconosce come corpi estranei ma come parte di sé stesso. Tale caratteristico procedimento è strettamente specie-specifico, cioè non tutti gli anemoni accettano tutti i pesci pagliaccio, ma solo determinate specie ed, anzi, esperimenti condotto in acquario hanno dimostrato che inizialmente gli anemoni tendono ad attaccare i pesci non immunizzati, abituandosi poi gradualmente alla loro presenza, tanto che, in origine, si ipotizzò che il muco protettivo fosse secreto dai pesci stessi. In realtà gli Anfiprionidi si impregnano attivamente del muco degli anemoni, nuotando poi liberamente fra i loro tentacoli solo dopo un periodo di acclimatazione proprio di ogni specie, così che un determinato tipo di anemone accetta solo la sua specie di Amphiprion simbionte, mentre le altre non sono immuni al suo secreto. Al meccanismo di immunizzazione osservato in natura si aggiungono anche osservazioni condotte in acquario che dimostrerebbero invece la scarsa o nulla selettività specifica degli anemoni, i quali sono stati visti ospitare esemplari di pesci pagliaccio non appena introdotti nella vasca senza alcun tipo di acclimatazione, tanto da far pensare ad una possibile immunizzazione acquisita in precedenza dai pesci.

La diversa casistica, che spazia dagli studi scientifici condotti dagli ittiologi alle osservazioni degli acquariofili, è talvolta discordante e tale da non consentire schematizzazioni, dimostrando ancora una volta quanto possano essere complesse e inafferrabili le dinamiche alla base del comportamento animale. Occorre inoltre considerare che le osservazioni compiute sul "campo", cioè in mare, presentano un maggior numero di variabili fisiche, ecologiche ed etologiche rispetto a quelle effettuate nell’ambiente controllato dell’acquario, dove le originarie spinte selettive esistenti in natura sono mitigate dalle scelte operate dall’uomo. In acquario, dunque, si potranno verificare diverse condizioni, anche con carattere di eccezionalità nel comportamento dell’una o dell’altra specie in questione, però non è detto che accadano in natura, dove il sodalizio fra anemoni e pesci pagliaccio deve misurarsi con le altre infinite relazioni interspecifiche presenti nell’habitat marino. Comunque, sia in mare che in acquario, il loro rapporto è ormai talmente collaudato ed efficace da essere determinante nelle varie fasi del ciclo vitale: gli Anfiprionidi, ad esempio, da giovani vivono sicuri sugli anemoni in piccoli banchi, spesso in compagnia di altri giovani Pomacentridi, quali i Dascyllus, e, una volta adulti, difenderanno in coppia il loro ospite, la cui presenza costituisce un forte stimolo alla riproduzione. Alla deposizione delle uova, che avviene solitamente nelle immediate vicinanze dell’anemone ospite, spesso alla sua base, segue un’accurata opera di immunizzazione da parte dei genitori, che si sfregano delicatamente su di esse per ricoprirle del loro stesso muco protettivo e garantirne il riconoscimento da parte del celenterato. Anche nel Mediterraneo si può osservare un’identica strategia comportamentale, con un ghiozzo (Gobius bucchichii) che si comporta da pesce pagliaccio con l’anemone nostrano Anemonia sulcata.

Per quanto singolare ed affascinante a vedersi, la simbiosi fra pesci pagliaccio ed anemoni non è certo un caso isolato di associazione fra pesci ed invertebrati: ne esistono, infatti, numerosi altri esempi, anche se meno conosciuti del suddetto, come la stravagante accoppiata del ghiozzo che fa da "guida" ad un gamberetto semicieco. Quest’ultimo (genere Alpheus), abile scavatore, si nasconde all’interno di una tana che scava incessantemente nella sabbia e che viene sfruttata anche dal ghiozzo (genere Cryptocentrus, Amblyleostris ed altri), il quale ricambia il favore avvertendo il gambero del sopraggiungere di eventuali pericoli. La comunicazione fra i due avviene attraverso continui stimoli tattili, con il ghiozzo che sfiora le chele del gambero con precisi movimenti della coda, ai quali il gambero risponde toccando il pesce con le chele.

In mare i pericoli sono celati ovunque, soprattutto per quei piccoli animali che non sono dotati di stratagemmi mimetici o della protezione fornita da aculei, denti, ecc.. Si creano così alleanze difensive, come quella fra i pesci cardinale (Siphamia versicolor, Pterapogon kauderni, ecc.) e i ricci di mare del genere Diadema, i quali in cambio del riparo offerto dai loro aculei appuntiti vengono ripuliti dai pesciolini. C’è perfino un pesce che conduce una pericolosa convivenza con una velenosissima medusa dei mari tropicali, la caravella portoghese (genere Physalia), nei cui lunghissimi filamenti urticanti rimane imprigionato ogni tipo di pesce tranne il Nomeus gronovii che, al contrario, vive al riparo della sicura protezione della medusa. Come avvenga la comunicazione tra questo grande Celenterato ed il piccolo Perciforme è tuttora un mistero: si è visto infatti che la Physalia si ciba occasionalmente anche di Nomeus incappati nella sua rete di tentacoli, distinguendoli però dal suo ospite fisso. Questo strano comportamento forse trova una spiegazione nel fatto che il Nomeus ospite attira altri pesci verso i filamenti della medusa, con la quale ha stabilito un codice privato di riconoscimento e di mutuo sodalizio. Lo stesso avviene anche per le meduse del genere Rhizostoma, diffuse nel Mediterraneo e nell’Atlantico, che si vedono spesso accompagnate da giovani Pesci Carangidi come il sugarello (Trachurus trachurus). Esso, in cambio dell’immunità da parte del celenterato, si presta a fare da richiamo per altri pesci ed anche da spazzino, provvedendo a liberare la medusa delle parti dei tentacoli in decomposizione.

Persino i più temibili predoni del mare, gli squali, hanno relazioni amichevoli con i così detti pesci pilota (Naucrates ductor). La vistosa livrea a bande verticali scure su fondo grigiastro di questi Carangidi, unitamente alla loro caratteristica abitudine di accompagnare grossi pesci pelagici come squali e mante, ha fatto inizialmente propendere per l’ipotesi che fossero questi ultimi ad essere guidati nei loro spostamenti dei pesci pilota. In realtà, i Naucrates sfruttano la scia prodotta dal nuoto degli squali per muoversi con poca fatica, cibandosi per di più dei loro avanzi, senza per altro liberarli dai parassiti: non si sa perché questo tipo di commensalismo sia tollerato dai grandi Condroitti che, pur non ricevendone vantaggi apparenti, viaggiano spesso in loro compagnia. E’ interessante notare il diverso comportamento assunto da questi pesci a seconda del loro accompagnatore: se si tratta di specie predatrici, come gli squali, i Naucrates ne imitano perfettamente i movimenti, nuotando all’altezza delle pinne dorsali e ventrali e spostandosi di rado davanti alle fauci; quando invece accompagnano le mante o gli innocui squali balena, i pesci pilota nuotano davanti ad essi, rifugiandosi sotto il loro ampio corpo e perfino in bocca in caso di pericolo. Probabilmente a seguito di questa abitudine, sono stati osservati dei pesci pilota pulire occasionalmente la bocca delle mante, instaurando in questo caso una relazione reciprocamente vantaggiosa. Del resto l’ambiente pelagico, uniforme e privo di rifugi, spinge molti pesci d’alto mare a cercare protezione nella confortante sicurezza del gruppo o presso esemplari più grossi: gli sgombri del genere Caranx accompagnano spesso i banchi di barracuda, ma anche squali e razze, nuotando sopra o sotto di loro.

Da queste forme di associazione libere e facoltative si sono probabilmente evolute le relazioni stabili di accompagnamento, come la simbiosi vera e propria che si instaura fra i grossi nuotatori pelagici delle acque temperate e calde di tutto il mondo e le remore. Questi Pesci Perciformi della famiglia degli Echeneidi (generi Echeneis, Remora, Remorina, Phtheirichthys), dal corpo allungato e nerastro da adulti e a strisce longitudinali da giovani, hanno l’abitudine di farsi trasportare da Cetacei, squali, tartarughe marine e grossi pesci, ai quali si attaccano aderendo con una ventosa cefalica derivante dalla modificazione della pinna dorsale anteriore. Si nutrono dei parassiti e degli avanzi dei pasti del loro ospite, però, se trovano una zona con abbondanza di cibo, lasciano il loro convivente per condurre vita libera, fino a che, esaurite le risorse trofiche, si attaccano nuovamente ad un altro ospite.

Nel prossimo articolo vedremo altri casi particolari di simbiosi, come l'attività di pulizia e la simbiosi antagonistica o parassitismo.

 


La strana coppia: il paguro e l’attinia

La formazione di questa simbiosi, efficace e perpetua, rimane uno dei tanti interessanti misteri del mondo naturale. Numerosi esperimenti hanno dimostrato che il paguro ha un atteggiamento attivo nei confronti dell’attinia, andando immediatamente in cerca di un'altra se privato della propria. D’altra parte, anche le attinie, che pure vivono fissate su qualsiasi substrato, sembrano non aspettare altro che l’occasione di issarsi sopra un paguro: infatti, non appena uno di essi comincia a toccarle, questi anemoni reagiscono in maniera caratteristica, rilassandosi ed iniziando a disciogliere parte delle sostanze adesive che le ancorano al substrato. Il successivo distacco e i movimenti attivi che l’attinia compie in risposta agli stimoli tattili esercitati dal paguro seguono un preciso schema: l’attinia inizia ad esplorare con i tentacoli la conchiglia abitata dal crostaceo, reagendo probabilmente a particolari sostanze chimiche proprie del guscio; poi cerca di afferrarsi con i tentacoli alla conchiglia e, contemporaneamente, incomincia a distaccarsi dal substrato; una volta avvenuto il trasferimento sulla conchiglia, l’attinia è, per così dire, "a testa in giù", ma ripristina rapidamente la corretta posizione incurvandosi ad U, fino a che il disco basale adesivo non risulta di nuovo appoggiato sul guscio, con i tentacoli liberi di fluttuare. L’elevata affinità delle attinie con le conchiglie abitate dai paguri è molto più alta che rispetto a qualsiasi altro substrato: chi ha avuto occasione di ospitare questi celenterati nel proprio acquario marino sa bene che si fissano facilmente anche sui vetri, ma se si inseriscono dei paguri nella vasca si vedrà che in breve tempo essi riescono a convincere alcune attinie a passare sulle loro conchiglie. I paguri infatti reagiscono in maniera innata al contatto con gli anemoni, adoperandosi per stimolarne il distacco, secondo un modello comportamentale di riflessi istintivi che è alla base del sistema nervoso di questi crostacei. Incredibile è invece la risposta delle attinie, cioè il loro trasferimento attivo sul guscio abitato dai paguri, soprattutto in considerazione della primitività del loro sistema nervoso, dal momento che sono in grado addirittura di operare una precisa scelta fra i vari tipi di conchiglie con le quali vengono a contatto. Infatti, senza l’accordo da parte dell’anemone, il paguro non riuscirebbe mai a staccarlo dal fondo al quale è saldamente fissato con il disco pedale adesivo.

 

BIBLIOGRAFIA:

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Bufo R. "Biocenosi in acquario", 1984, Rivista "Aquarium", Ed. Primaris, Milano;

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