I pesci elefanteNel gergo acquariofilo molte specie vengono comunemente citate con dei termini largamente in uso che fanno riferimento ai tratti più evidenti del pesce in questione, nominandolo spesso in associazione con altri animali o cose dalle caratteristiche simili. Scorrendo questa terminologia bizzarra, nella quale compaiono i soggetti più disparati – pesce ago, pesce palla, pesce gatto, pesce pagliaccio, pesce scatola, pesce pappagallo, pesce farfalla, ecc. – non ci si stupirà quindi di imbattersi anche nel "pesce elefante", dall’aspetto davvero unico, così soprannominato per il muso che si allunga in una vistosa appendice a forma di proboscide.
Testo di Maurizio Lodola e M. Letizia Tani
La curiosa fisionomia di questo pesce è conosciuta da secoli, tant’è che se ne ha testimonianza sin dall’antico Egitto, dove veniva raffigurato nei templi insieme a gatti, ibis, scarabei ed altri animali sacri. Sono infatti i grandi fiumi africani, come il Nilo, il Congo, il Senegal, il Niger, i luoghi d’origine di questi strani componenti dell’ordine dei Pesci Teleostei Mormiriformi, che comprende le due famiglie dei Gimnarchidi e dei Mormiridi. La prima è rappresentata da un solo genere ed un’unica specie, Gymnarchus niloticus, mentre i Mormiridi raggruppano una dozzina di generi (Mormyrus, Gnathonemus, Marcusenius, Mormyrops, Petrocephalus, Boulengeromyrus, ecc.), con circa 150 specie dulcacquicole dal corpo allungato e molto appiattito sui fianchi, bocca prominente con mascelle prive di denti e labbro superiore caratteristicamente allungato in una sorta di proboscide, da cui il loro nome volgare. In alcune specie in particolare, come in Campylomormyrus curvirostris, il labbro si è sviluppato fino ad arrivare a misurare un decimo dell’intera lunghezza dell’animale, mentre in altre specie la proboscide è ridotta (Mormyrus kannume) o assente (generi Marcusenius, Petrocephalus, Stomatorhinus).
Una proboscide per mangiare al buio Questa particolare conformazione anatomica si è evoluta come adattamento alle condizioni ambientali tipiche di questi corsi d’acqua, dove la visibilità è estremamente limitata a causa della torbidità dovuta al materiale in sospensione. Non a caso i Mormiridi presentano occhi di regola piccoli, dalla retina più o meno atrofica, insufficienti quindi per la ricerca del cibo, che viene affidata invece ad altri organi sensoriali, più precisamente a questa sensibile appendice buccale, ricca di terminazioni tattili e gustative, con la quale i pesci elefante sondano il fondale fangoso a caccia dei minuscoli invertebrati che costituiscono la loro alimentazione. Nelle specie senza proboscide (quali Gnathonemus stanleyanus, Marcusenius longianalis, Petrocephalus simus) il muso si presenta arrotondato, con la bocca rivolta verso il basso, di modo che possono alimentarsi direttamente sulla superficie del fondo ed anche a mezz’acqua. In tutti i Mormiridi comunque la rima buccale è piuttosto ridotta, il corpo lateralmente compresso, la pinna dorsale simmetrica per forma e posizione a quella anale, la coda molto pronunciata, a forma di triangolo. Le dimensioni variano dai 20 ai 50 cm a seconda delle specie, senza differenza fra i sessi, identici anche per la livrea che, in funzione del loro habitat palustre, non presenta colori vivaci, ma mimetici toni grigio-brunastri, talvolta interrotti a livello della pinna dorsale ed anale da alcune strisce chiare e oblique, oppure da macchioline scure. Altri elementi peculiari dei Mormiriformi sono la vescica natatoria intracranica, collegata tramite un sottile condotto con la parte anteriore dell’intestino, ma soprattutto l’enorme sviluppo del cervelletto, di dimensioni eccezionali per la classe dei Pesci (circa un cinquantesimo del peso corporeo totale). Ma l’adattamento anatomico più singolare, sviluppato da questi pesci per sopravvivere nelle torbide correnti dei fiumi africani, consiste nella presenza a livello della coda di un organo elettrico (vedi box), derivante dalla trasformazione dei muscoli caudali e capace di emettere ininterrottamente una debole corrente (generalmente di pochi V), di alta frequenza e bassa intensità. Sono stati condotti diversi esperimenti in acquario per stabilire la funzione degli organi elettrici nei Mormiriformi: immergendo in acqua due elettrodi collegati ad un amplificatore si è cercato di quantificare e quindi di interpretare la sequenza degli impulsi elettrici emessi da questi pesci. La tensione registrata è sempre risultata troppo bassa per essere in grado di stordire ed addirittura uccidere eventuali prede, come del resto per intimorire ed allontanare nemici e predatori. Questo è facilmente verificabile immettendo un pesce elefante in un acquario di comunità: gli altri pesci non risultano infatti minimamente turbati dalle scariche elettriche prodotte dal nuovo ospite; anche stimolando una maggiore frequenza degli impulsi da parte dell’animale, per esempio inducendolo a muoversi ed agitarsi con offerte di cibo, non si verificano cambiamenti di sorta. Se invece proviamo ad introdurre nell’acquario un altro pesce elefante, il primo Mormiride risponderà a questa invasione del suo territorio aumentando sensibilmente la frequenza delle scariche elettriche, alle quali l’intruso risponde a sua volta, in un duello all’ultimo V! Solitamente queste dimostrazioni di forza finiscono con l’abbandono del campo da parte del nuovo venuto, permettendo al legittimo proprietario del territorio di tranquillizzarsi ed emettere i suoi soliti impulsi in tranquillità. Le attitudini territoriali, proprie della maggior parte dei Mormiridi, non si riscontrano nei pesci dei generi Marcusenius e Petrocephalus che preferiscono invece vivere in gruppo e, se messi in un acquario con altre specie, anche nell’oscurità si riuniscono fra di loro a formare un branchetto. Questi esperimenti hanno dimostrato che il campo elettrico di cui questi pesci si circondano è determinante per le relazioni intra- ed interspecifiche, permettendo loro di "vedere", cioè di riconoscere gli individui della stessa specie, ma anche eventuali predatori, di evitare ostacoli ed individuare il cibo. Inoltre, è stato visto che durante il periodo riproduttivo gli organi elettrici sono più sviluppati, inducendo a pensare che abbiano importanza anche nella formazione delle coppie: infatti grazie al loro "radar" questi pesci normalmente solitari e territoriali riescono a trovarsi e comunicare. top^
Un pesce giocoliere I pesci elefante sono ospiti frequenti degli acquari di comunità, adattandosi bene alla convivenza con pesci di altre specie. Fra le varie specie di Mormiridi più conosciute dagli acquariofili spicca Gnathonemus petersii, dal comportamento socievole e giocoso, unico nel mondo dei pesci: è capace infatti di giocare a lungo con delle foglioline, pezzetti di legno, addirittura con una pallina, spingendoli incessantemente con il muso appuntito per tutto l’acquario! Pacifico nei confronti degli altri pesci, G. petersii è però aggressivo nei confronti degli appartenenti alla sua stessa specie, con i quali si contende il territorio, perciò è preferibile scegliere esemplari piccoli e della stessa taglia. Simile ad esso è Gnathonemus elephas, dotato di una "proboscide" più vistosa del primo, al quale assomiglia per la colorazione scura con bande verticali bianco-giallastre situate all’altezza delle pinne, evidenti soprattutto negli esemplari giovani. La lunghezza massima raggiunta in natura da queste due specie è di circa 20 cm e, anche se in acquario tendono a rimanere più piccole, necessitano di una vasca medio-grande (almeno 100 l), dotata di un buon filtraggio, angoli con vegetazione, legni di torbiera, nascondigli vari e un’illuminazione non troppo intensa, date le abitudini notturne di questi animali. La temperatura dell’acqua dovrà essere mantenuta intorno ai 22-28 °C, con valori di pH 7 e durezza 10° dGH. Prevalentemente carnivori, i pesci elefante si adattano bene al tubifex e larve di zanzara liofilizzate ed anche mangime secco in pastiglie. Numerose in acquario anche le specie senza "proboscide": fra le più frequenti G. stanleyanus è una specie vivace senza essere aggressiva con gli altri pesci, tranne con i suoi consimili che tiene alla larga dal suo territorio. Per questo motivo e per le sue dimensioni (può arrivare fino a 40 cm) è consigliabile allevare non più di due di questi esemplari in acquario, altrimenti le scariche elettriche emesse nelle dispute territoriali a lungo andare potrebbero danneggiarli. Decisamente più piccoli (4-8 cm) sono Petrocephalus simus e P. catostoma (di cui si trova anche la varietà albina), Pollimyrus castelnaui e P. nigripinnis, tutte specie non territoriali, ma che anzi preferiscono vivere in piccoli gruppi, con valori dell’acqua altamente alcalini (pH 8,8). Altre specie di Mormiriformi facilmente reperibili dall’acquariofilo sono Mormyrus longirostris, M.boulengeri, Marcusenius angolensis e perfino Gymnarchus niloticus (anche nella varietà albina), che però consigliamo solo a chi dispone di vasche ampie e sufficientemente attrezzate per contenere questi pesci, le cui dimensioni variano dai 20 ai 35 cm ed oltre (il gimnarco arriva ad un metro e mezzo di lunghezza per circa 12 kg di peso). Gli appassionati che vogliano tentare la loro riproduzione in acquario (della quale si sa ben poco) considerino inoltre che si tratta di pesci dalle spiccate attitudini territoriali, attivi prevalentemente all’imbrunire, che non vanno quindi tenuti insieme a specie più piccole, poiché quest’ultime potrebbero essere disturbate di notte dai loro campi elettrici. top^
L’organo elettrico Oltre che nelle torpedini ed nei gimnoti, anche nei Mormiriformi (Mormiridi e Gimnarchidi) è stata accertata la presenza di recettori elettrici, diversamente distribuiti a livello dell’apparato cutaneo a seconda delle specie. Questi organi elettrici sono generalmente 4 (nel Gymnarchus arrivano ad 8), due dorsali e due ventrali, disposti sul peduncolo caudale dove formano una specie di cilindretto che, in sezione, appare costituito da una guaina esterna di tessuto connettivo fibroso, al cui interno trova posto un gran numero di particolari cellule muscolari che producono gli impulsi elettrici. Questi elementi, particolarmente appiattiti (1/100 di mm di spessore), sono impilati a colonna uno sopra l’altro, fino a 200-400 per ogni organo elettrico; ciascuno di essi è in grado di fornire una differenza di potenziale di 0,14 V ed è posto in serie con gli altri elementi formanti la colonna, mentre le varie colonne sono collegate tra di loro in parallelo. Ogni placca elettrica viene innervata sulla superficie posteriore da motoneuroni della linea laterale. Si ipotizza che l’energia elettrica prodotta da queste cellule serva ad attivare particolari recettori sensoriali (mormiroblasti) che nei Mormiriformi sono disposti nello spesso strato mucoso che riveste l’epidermide. Questi agirebbero da stazioni di rilevamento del campo elettrico: il pesce, tramite continue scariche, crea intorno a sé un campo elettrico al cui interno può avvertire la presenza di elementi conduttori e non conduttori. Ogni volta che un corpo con conduttività diversa dall’acqua gli si avvicina, le linee di forza del campo elettrico del pesce subiscono una modificazione: i buoni conduttori producono una convergenza delle linee di forza del campo elettrico, mentre i cattivi conduttori le fanno divergere. Tale variazione viene quindi captata dai recettori sensoriali cutanei, che consentono all'animale di reagire ai cambiamenti della distribuzione del potenziale elettrico sulla sua superficie corporea, avvertendolo della presenza di ostacoli, prede o predatori, anche in acque visibilmente impenetrabili. Lo straordinario sviluppo del cervelletto dei Mormiriformi si spiegherebbe con l’importanza per l’orientamento e la vita di relazione di questo apparato sensoriale, in grado di avvertire anche minime modificazioni del campo elettrico (da 3 milionesimi di ampère fino a un bilionesimo). E’ probabile che la funzione dell’organo elettrico sia stata primariamente di natura difensiva ed offensiva (stordimento e cattura delle prede), evolutasi poi come strumento in grado di fornire utili informazioni sull’ambiente circostante nei pesci con abitudini notturne o viventi in acque torbide. La capacità che hanno certi pesci di orientarsi attraverso variazioni del campo elettrico rappresenterebbe quindi una forma di convergenza evolutiva sviluppatasi in specie sistematicamente lontane fra di loro (le torpedini, per esempio, sono Pesci cartilaginei, mentre i Gimnotidi ed i Mormiriformi sono Pesci ossei), che hanno però adottato la stessa soluzione per sopravvivere sui fondali melmosi, dove possono cacciare anche di notte. top^
Scheda sistematica: Classe: Osteitti (Osteichthyes) Infracalasse: Teleostei (Teleostei) Superordine: Osteoglossomorfi (Osteoglossomorpha) Ordine: Mormiriformi (Mormyriformes) Famiglia: Mormiridi (Mormyridae) Generi: Mormyrus, Gnathonemus, ecc. top^
Lanza B.: "Dizionario del regno animale", Mondadori, Milano (1982) Nelson J. S.: "Fishes of the World", Wiley & Sons, New York (1976) Padoa E.: "Manuale di Anatomia Comparata dei Vertebrati", Feltrinelli, Milano (1979) Torchio M.: "Agnati e Pesci" da Enciclopedia Monografica di Scienze Naturali, Mondadori, Milano (1971) top^
Indirizzi Internet:
Simulation of the Electrosensory System of the Fish
Gnathonemus petersii (inglese)
Elettrolocazione (tedesco) |